sabato 9 maggio 2009

Disuguaglianze

Due auto nel parcheggio: una Mercedes e una Volkswagen Polo. Una vettura di lusso e un'utilitaria. Due auto, due proprietari: una signora benestante e un apprendista sottopagato. Nella Mercedes la signora gode del silenzio e dell'isolamento, della frescura dell'aria condizionata, di un hi-fi potente, di un navigatore che la porta dove lei desidera, di un motore poderoso e sensibile al tocco più delicato del piede. Nella Polo l'apprendista non ha neppure gli alzacristalli elettrici, perché è un vecchio modello di quarta mano. Le loro abitazioni riflettono le stesse disuguaglianze: una villa lussuosa con parco e piscina, e un modesto bilocale condiviso con la madre in un palazzone di periferia. Spingendo lo sguardo un po' più lontano, immaginiamo i pasciuti plutocrati ospiti permanenti di un albergo a cinque stelle mentre prendono il sole sul bordo della piscina, e ancora più lontano le ragazzine delle favelas sudamericane costrette a prostituirsi per mangiare. Perché?

Tutti, ricchi e poveri, hanno 46 cromosomi, alcune decine di migliaia di geni. Tutti sono nati da uomo e da donna. Tutti aspirano alla felicità. Che non coincide con il benessere materiale, ma di cui certo il benessere materiale (ipocrita chi lo nega) contribuisce a far sentire meno la mancanza. Eppure fra tutti questi uomini e queste donne, fra questi 7 miliardi di abitanti del terzo pianeta del Sole, sussistono abissi di disuguaglianza materiale. Perché?

Mi si risponde che la disuguaglianza è innata. Che proprio quei 46 cromosomi e quelle migliaia di geni rendono gli uomini e le donne diversi, e quindi diversi i loro destini. In sostanza, mi pare di capire, se qualcuno è più attivo e volonteroso è giusto che nella vita goda di un successo maggiore, sotto forma di benessere materiale. Sembra convincente, a prima vista. Ecco la ragione delle disuguaglianze, fondate quindi sulla libera volontà individuale: si è diversi perché si vuole essere diversi.

Ma si vuole... sempre? L'impegno e la volontà sono sempre il fattore determinante? Non sono, piuttosto, basati sulle qualità intrinseche? Insomma, ha successo chi ha i mezzi, gli strumenti offerti dalla natura per mettere a frutto l'impegno. Chi è dotato di un talento avrà più possibilità di arricchirsi di chi invece ne è privo. Ma allora la differenza va cercata nella fortuna. Non c'è merito nel nascere dotati. E dunque, se non c'è merito, perché si dovrebbe goderne di più? Mi sento replicare che ognuno ha dei doni, diversi da quelli di tutti gli altri. Che un uomo povero è solo un uomo rotondo in un buco quadrato, che non ha voluto o non ha potuto seguire la propria vera vocazione, grazie alla quale avrebbe raggiunto l'eccellenza e sarebbe diventato ricco. La società deve migliorare per arrivare a offrire a chiunque, davvero a chiunque, la possibilità di trovare la propria strada per eccellere. Elargendo a ciascuno le stesse possibilità di partenza. "Abbi pazienza, Shevek: ci stiamo lavorando". In teoria funziona. Ma nei fatti...

Nei fatti, la proprietaria della Mercedes è una nullafacente che vive di rendita grazie agli appartamenti ereditati dal padre, un avvocato di successo che, partendo dal nulla, era diventato un principe del foro, si era arricchito, aveva investito oculatamente i propri risparmi in immobili e, alla propria morte, aveva lasciato tutto alla figlia. E lei ora, senza arte né parte, senza alcun impegno personale, si gode un'esistenza dorata. Il padre ha sgobbato duro, ha dimostrato di avere capacità e volontà, e certo la ricchezza se l'è (nell'ottica del merito individuale) conquistata. Ma la figlia? Lei ha avuto solo la smodata fortuna di essere la prole di un ricco. Non c'è merito in questo. E nei fatti non c'è colpa nell'apprendista, figlio di una ragazza madre, una working poor che a malapena riesce a mettere assieme il pranzo con la cena e non ha potuto farlo studiare. Peccato, però, perché il ragazzo è molto dotato e avrebbe voluto (e potuto, in teoria) diventare un ottimo chirurgo. Vedi un po' la sfortuna... Analogo discorso per il ciccione sul bordo della piscina, rampollo per caso di una famiglia di ricchi possidenti, e per la ragazzina delle favelas, progenie fortuita della povertà e della degradazione.

Se si scoprono discriminazioni, tutti esprimono sdegno e levano alte proteste. Per esempio, laggiù i neri non votano. Orrore e raccapriccio! Perché? "Ma sei scemo, Shevek? Perché il colore della pelle non è una colpa, ma solo una circostanza fortuita!". Altrove gli omosessuali sono perseguitati e imprigionati. Indignazione e rabbia! Perché? "Ma come perché? Essere omosessuali non è una scelta! E' una propensione naturale, è un modo di essere indipendente dalla volontà!". E che dire di quei posti nei quali le donne sono costrette al velo? Condanna e riprovazione! Perché? "Di nuovo, perché non si determina il proprio genere!". Capisco. Va bene. Non si decide di nascere ebrei o con gli occhi a mandorla, così come non si sceglie di essere omosessuali o biondi o alti. Discriminare una persona per una sua caratteristica casuale, favorendola o sfavorendola per questo, è sbagliato. Vogliamo dire immorale? Diciamo immorale. Ebbene, è curioso constatare come, laddove la discriminazione etnica o sessuale o di genere è inaccettabile, la discriminazione economica non suscita alcuno stupore. Il figlio del ricco è ricco, sebbene la sua nascita sia stata casuale e immeritevole quanto il colore della sua pelle.

Nel 1680 venne pubblicato Patriarcha, or the Natural Power of Kings, un'opera postuma di Sir Robert Filmer. L'autore giustifica il diritto divino dei re sulla base del principio ereditario. I suoi argomenti sarebbero stati demoliti pochi anni dopo da John Locke, com'è noto. Oggi li troviamo ridicoli. Le poche dinastie regnanti nei moderni regimi monarchici ma democratici hanno un potere poco più che simbolico. Ma ecco quanto scrive Bertrand Russell nella sua Storia della filosofia occidentale: "E' curioso che il rifiuto del principio ereditario in politica non abbia avuto quasi alcun effetto nel campo economico nei paesi democratici. (...) Ci sembra ancora naturale che un uomo lasci la sua proprietà ai figli; accettiamo cioè il principio ereditario per quel che riguarda il potere economico, mentre lo respingiamo nei riguardi del potere politico. Le dinastie politiche sono scomparse, ma le dinastie economiche sopravvivono. Non intendo ora prendere posizione pro o contro questo diverso trattamento delle due forme di potere. Sto semplicemente mettendo in luce questa realtà, e il fatto che la maggior parte degli uomini non se ne sia accorta. Riflettete a quanto ci sembra naturale che il potere sulla vita degli altri, derivante da una grande ricchezza, debba essere ereditario, e capirete meglio come uomini del tipo di Sir Robert Filmer potessero sostenere lo stesso principio nei riguardi del potere dei re; (...)".

Non capisco. Vedo che gran parte delle disuguaglianze materiali trova una giustificazione nel puro caso. In barba alle massime dichiarazioni d'intenti sull'uguaglianza di opportunità fra gli esseri umani. Perché?

Shevek

(mirrorato su Tumblr)


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